Acque e mulini in Friuli
di Pier Carlo Begotti
ll nome “mulino” Il mulino o molino designa una macchina per macinare gli alimenti (cereali, castagne, riso, olive e così via) o usata per funzioni differenti, in cui il congegno principale è costituito da pietre pesanti di forma cilindrica, rotanti e abrasive, le mole o macine. È la pressione che le due macine effettuano sugli oggetti posti tra l’una e l’altra che provoca il loro schiacciamento e quindi la fuoriuscita delle farine, degli oli o di altro. Il movimento di simili congegni è dato dall’energia derivata dalla forza muscolare (umana o animale) e poi via via dalla forza idraulica o da quella eolica, infine da quella elettrica.
Acqua, ambiente, storia Durante il Medioevo il possesso dei mulini e l’iniziativa stessa di costruirli erano strettamente connessi (anche se non in maniera esclusiva) all’esercizio di poteri sulla popolazione, a sua volta prerogativa di signori tanto laici quanto ecclesiastici. Nella storia di ogni mulino agivano varie componenti: 1) le risorse economiche, che solo un centro dotato di disponibilità finanziarie riusciva a reperire; 2) era necessario essere forniti di molto legno, sia per l’impianto iniziale, sia per la periodica sostituzione del materiale deperibile; 3) bisognava possedere o potersi procurare i metalli (per i chiodi e per gli ingranaggi) e la pietra per le mole, da far trasportare dalle cave al sito della macchina idraulica; 4) fondamentale era poi la disponibilità dell’acqua, forza motrice del mulino. Il proprietario del luogo o colui che stabiliva l’impianto del mulino doveva essere in grado di poter sfruttare a suo vantaggio il fiume, il ruscello o il torrente, di inalvearlo o di derivarne canali. E affinché le mole potessero macinare il grano, necessitavano di un movimento azionato da una energia continua, con una potenza sufficiente e costante. Il corso l’acqua doveva essere sempre libero da immondizie e rifiuti che potessero far impigliare o danneggiare le ruote e le altre attrezzature. L’energia prodotta serviva non solo per i mulini veri e propri, ma anche per imprese come le segherie.
Nel Friuli medievale Nelle testimonianze del Friuli Occidentale), si nota come il dominio su una corte o su un villaggio fosse inscindibile dal possesso del mulino, almeno dal IX-X secolo, epoca in cui si fa più ampia la menzione di queste macchine idrauliche. Gli assetti sociali si caratterizzavano per il prelievo sul lavoro contadino e sulle prestazioni di manodopera nelle terre e nelle strutture signorili, in cambio di protezione e difesa, per cui le ingenti risorse per l’impianto delle macchine e i particolari diritti di sfruttamento dell’acqua avviarono i sovrani, i feudatari, i poteri pubblici, i castellani detentori di giurisdizione a installare sempre più i mulini e ad averne la piena disponibilità. Contarono anche le esigenze di controllo economico, sociale e politico su un aspetto così delicato come l’approvvigionamento delle farine. In numerose realtà i contadini portavano a macinare il grano nel mulino del signore, sia la parte dominicale, sia quella dovuta ai coltivatori, previo ulteriore versamento di denaro o di una percentuale del prodotto. Un primo esempio è dato a questo proposito dalle disponibilità assegnate fin dal principio all’Abbazia di Sesto e quella collegata di Salt, da una parte e dall’altra del Tagliamento, secondo l’atto di dotazione del 762: comune alle due istituzioni monastiche rimaneva lo sfruttamento del mulino di Palazzolo dello Stella, con la clausola che finché fosse rimasta in vita Piltrude, la madre dei tre fondatori Anto, Erfo e Marco, ritiratasi a Salt, il provento della macinazione del grano dominicale sarebbe rimasto a lei, mentre quello derivante dai dipendenti sarebbe stato diviso a metà.
Il mulino di Arzene Anche il mulino Majaroff ha avuto la medesima origine signorile di molti altri in Friuli e in Europa. Il primo documento, infatti, risale all’anno 1359 e si riferisce a una segheria già esistente, alimentata da una roggia che significativamente prenderà il nome «dei Mulini»: il nobile castellano Simone di Valvasone, dominus del territorio (lo stesso che nel 1355 aveva fatto ricostruire l’Ospedale di Santa Maria delle Grazie), affittò la segheria azionata da una ruota idraulica a Giovanni Martignacco originario di Rivis, ma abitante a Valvasone; tra le clausole, vi era l’obbligo di affiancare alla macchina idraulica già esistente, un mulino a una ruota. Il documento chiarisce che la Roja scorreva al confine con Valvasone e che affiancava la strada che da Valvasone conduceva a San Lorenzo. Non è ancora conosciuta altra documentazione fino alle mappe catastali dei primi decenni del XIX secolo, quando il complesso risulta sempre di proprietà dei nobili di Valvasone, che lo davano in gestione a famiglie di mugnai. Comprendeva il mulino, l’abitazione e un annesso rustico. Nel corso dell’Ottocento ci furono anche frazionamenti della proprietà, che rimase in ogni caso in mani alla famiglia aristocratica e alla sua cerchia parentale. Modifiche sostanziali agli immobili verranno poi effettuate nel 1930, con l’abbattimento di alcune parti e la loro ricostruzione più ampia: casa, stalla, cantina, pollaio, porcilaia. Altre modifiche furono apportate tra la metà degli scorsi anni ’50 e la metà degli anni ‘60.
Il Majaroff Questa località risulta abitata in età romana, molti reperti sono infatti emersi tra XIX e XX secolo e oggi sono conservati nei musei di San Vito al Tagliamento e di Tesis di Vivaro; sono collocabili tra il I secolo a.C. e il IV d.C., con una continuità dell’insediamento nelle epoche gotica e longobarda (V-VIII secolo). Furono inoltre rinvenuti monili riferibili alla cultura slava alpina (carinziana detta «Köttlach», secoli X-XI. Non sono emerse, finora, attestazioni antiche del nome, che comincia a comparire nei catasti ottocenteschi ed è di origine germanica. La sua forma tuttavia ci porta a una fase medievale del tedesco, con il significato di «fattoria, masseria» retta da un agricoltore con funzioni di agente del signore proprietario: oggi sussistono vari cognomi con sfumature diverse, composte da due termini arcaici, Meier «fattore» + hof «corte, fattoria, masseria».
La famiglia De Giusti L’insieme dei fabbricati fu acquistata dalla famiglia De Giusti, nella persona di Stefano, tra il 1910 e il 1917; i suoi antenati erano qui giunti nei primi decenni dell’Ottocento come mugnai, dopo aver esercitato con successo questo tradizionale mestiere in altre parti del Friuli, per esempio Camino al Tagliamento e Orcenico Superiore. L’ultimo mugnaio attivo, che ha chiuso l’attività pubblica nel 1989, è stato Leo De Giusti, nonno dell’attuale proprietaria, che ha apportato alcuni ammodernamenti sia al mulino, sia al complesso insediativo. Oggi le ruote sono state sostituite da una turbina, posta sotto il pelo dell’acqua, che produce energia elettrica. Resta ben visibile il salto dell’acqua, che genera con il suo movimento la forza necessaria. Il Majaroff aderisce alla Associazione Italiana Amici dei Mulini Storici.